L'Oscar? Rende pazzi!
Intervista a Bill Murray

 

Bill Murray
Da 'Ghostbusters' a 'Lost in translation': intervista a Bill Murray, sugli schermi con il nuovo film di Sofia Coppola. I critici lo vorrebbero candidato all'Oscar, ma lui non ci pensa proprio...

Com’è stata la sua prima esperienza in Giappone?
Il mio primo ricordo del Giappone non è Tokio, ma il sud del Paese, perché è lì che sono stato la prima volta. E lì ho scoperto che la gente parlava degli abitanti di Tokio come negli Stati Uniti si parla della gente di New York: sono stressati, corrono sempre, lavorano come pazzi, il tempo è brutto, fa freddo. E' un po' come succede tra romani e milanesi. Prima di partire, del Giappone ricordavo la seconda guerra mondiale, la ricostruzione, il fatto che fosse diventata una nazione molto industrializzata... i giapponesi per me erano quelli che uscivano in gruppo, che scattavano tante fotografie, col sorriso stampato in faccia; erano i businessman che incontravo negli Stati Uniti, molto seri, con i vestiti scuri. Ma una volta lì, ho scoperto che ridono molto di più di quello che credevo. I giapponesi hanno tanta voglia di divertirsi, sono molto simpatici e cordiali e il fatto che il loro paese sia stato piuttosto chiuso fino a 150 anni fa, ha conservato quasi intatta la loro cultura.

Bill Murray, che è a Roma anche per le riprese di ‘The life aquatic’, film ispirato alle gesta dell’oceanografo Jacques Cousteau, ha lo stesso sguardo malinconico e lo stesso sense of humor che ha nell’Amore tradotto. l'attore ha raccontato qualche aneddoto sulla sua esperienza giapponese...
I giapponesi ridono molto, si divertono, amano le battute, gli scherzi. Nessuno di noi parlava giapponese, io avevo portato con me un libricino per studenti, di quelli con le frasi fatte per rimorchiare. Frasi tipo: stasera esci con me, a che ora devi tornare a casa, usi profilattici e mi divertivo a chiedere ai camerieri del sushi bar queste cose: loro ridevano, ma non ho mai capito se ridevano con me, di me o per me.

Lei ha iniziato facendo il comico. Com’è stato passare ai ruoli drammatici?
All’inizio della mia carriera ho fatto tante commedie, tanti film più leggeri e probabilmente il pubblico e la critica non erano pronti a vedermi in una parte più drammatica, o forse non ero abbastanza bravo e credibile, però con gli anni ho interpretato tanti altri ruoli e ho potuto dimostrare che col tempo ero cresciuto e avevo cominciato a capire più cose sugli uomini e sulla vita. Ultimamente, poi, ho lavorato con Robert De Niro e Dustin Hoffman, mi faccio vedere in giro con loro e il fatto che mi accompagno ad attori così famosi mi rende più credibile!

Il film è piaciuto molto alla critica e si parla già di candidatura all’Oscar: una parola che Bill Murray non vuole neanche sentir nominare!
Dicono che dopo che hai vinto un Oscar, arrivano più problemi che offerte di lavoro; l’Oscar è una sorta di maledizione, un po' come il tesoro della Sierra Madre, la febbre dell'oro: tu cominci a lavorare per ottenere l’Oscar e una volta che lo conquisti diventi pazzo: non ho questa frenesia di rincorrerlo, mi piace la mia carriera, mi piace quello che ho fatto, mi piace quello che sono, non vedo l’Oscar come un traguardo, a differenza di molti altri miei colleghi.