Ci sono certe storie che - paradossalmente - iniziano dalla loro fine: la
leggenda narra, infatti, che una mattina alle sei George Clooney e
un ex star del Saturday Night Live, nonché protagonista di film come Ghostbusters,
Ricomincio daccapo e S.O.S. Fantasmi giocassero
a rincorrersi cavalcando delle sedie nella Hall dell'esclusivo Hotel Cipriani a
Venezia.
Storie di quelle fatte apposta per essere citate nei pezzi di colore delle cronache
mondane del Festival del Lido, di cui diffidare con molta forza. Se non fosse
che proprio Clooney - durante l'intervista per Prima ti sposo poi ti
rovino - fosse il primo a dire: "Avete conosciuto Bill Murray?".
L'altra sera stava lì al bar dell'Hotel e quando mi sono avvicinato per
salutarlo - non l'avevo mai visto prima - lui stava lì con l'aria: ehi, guarda
chi sta arrivando! Abbiamo parlato per ore e ore." Del resto un po' come lo
stregatto di Alice nel paese meraviglie, il biondo platino Murray, ha un sorriso
carismatico e sornione, tipico dell'artista incontenibile, e anche decisamente
'tosto' da intervistare, visto che si ritiene più furbo (e a ragione...) del
giornalista di turno.
Come ha incontrato Sofia Coppola?
E' strano: ogni persona che incontravo iniziava a dirmi che mi sarebbe
arrivata una sua sceneggiatura. Ad un certo punto ho iniziato a preoccuparmi.
Sembrava che tutti volessero predirmi chissà quale sciagura.
Lost in translation è un film sulle differenze culturali.
Quali sono le più grandi con i giapponesi?
Noi occidentali ci lasciamo andare molto. Loro no. Noi esprimiamo di più
le nostre emozioni e i nostri sentimenti, mentre gli orientali mantengono a
riguardo un atteggiamento di grande circospezione. Sono ossessionati dal non
essere offensivi, dal non perdere mai il controllo, ma - soprattutto - dal
volere sempre mantenere il controllo della situazione. In maniera un po' triste
credo che questa cosa causi loro delle grandi ansie. Penso che equivalga un po'
ad una tortura per loro il fatto di non potersi esprimere. Il fatto che non
lascino uscire le loro emozioni è veramente doloroso alla lunga.
Qual è stato il suo approccio con il Giappone?
La prima sera che sono arrivato avevo il jet lag, ovviamente. C'era,
però, la festa per l'inizio delle riprese e così mi hanno reso onore facendomi
versare il saké. Il saké è davvero infido: sono arrivato in albergo e - tutto
insieme - mi sono sentito colpito da un misto di saké e jet lag. Per un po'
credevo di non sopravvivere. Ma non si tratta solo di questo: noi
occidentali ci orientiamo dappertutto. Anche se non so l'italiano, qui da voi
capisco - più o meno - dove mi posso trovare. In Giappone non ci sono lettere,
ma solo simboli. E le strade non hanno un nome...pensi ad una città di dieci
milioni di abitanti con strade che non hanno un nome...è facile mettere in
scena il fatto che tu possa sentirti perso. Non conosci la lingua, non leggi
nulla...sei davvero perso.
In questo film lei e Sofia Coppola rivoluzionate la nostra visione del
Giappone...
Questo, però, è stato molto facile. In America in particolare siamo
abituati a vedere soprattutto giapponesi che sono degli uomini d'affari. E gli
uomini d'affari sono noiosi dappertutto. Negli Stati Uniti, in Europa e in
Giappone.
Vogliono fare soldi e poco altro, quindi questo li rende davvero noiosi. E'
sbagliato, però, pensare che i giapponesi siano noiosi. Non lo sono affatto.
Solo gli uomini d'affari. Gli altri sono molto gentili e dolci.
Ha mai vissuto un momento di crisi come quello del suo personaggio?
Mi trovavo a Giakarta in Indonesia e prendendo in mano un libro sui
vulcani delle Hawaii in una grande libreria di quella città, il mio cellulare
ha squillato. Mi telefonavano per dirmi che un mio carissimo amico era morto in
un incidente durante un'escursione proprio alle Hawaii. Mi sono sentito
malissimo. Mi ero divertito molto in Indonesia in quel momento, ma non ce la
facevo più. Dovevo tornare in America per il funerale di quel mio amico. Non
potevo 'salutarlo' da dove mi trovavo. Non riuscivo a fare in modo che i miei
sentimenti andassero oltre l'Oceano. Tutti quanti riceviamo telefonate pazzesche
nella nostra vita. Le peggiori sono quelle in cui non riesci a dire nulla di
sensato e ogni volta che apri bocca lo fai per dire cose sbagliate...
Una delle sue imitazioni più divertenti è quella di Roger Moore...
Tutti siamo molto bravi a fare Roger Moore. Lo faccia anche lei, su
provi...Ogni persona al mondo sa imitare Roger Moore.
Come ha fatto a diventare un'icona del cinema indipendente in così poco
tempo?
E' stato molto facile: ho iniziato ad accettare solo le sceneggiature
che mi interessavano, lasciando perdere tutte le altre. Non è facile, però.
All'inizio accetti qualsiasi cosa, poi, pian piano hai la possibilità di
scegliere e di volere qualcosa che sia ben scritto e costruito.
Secondo lei cosa rappresenta il cinema per Sofia Coppola? Una
passione, una necessità o - parafrasando il titolo di un libro di Cristina
Comencini - 'un vizio di famiglia'?
Direi che è troppo presto per definirlo un vizio...vedremo dal
prossimo film...
Sempre rimanendo nel campo della famiglia c'è un monologo molto
bello in cui lei racconta dello sconvolgimento della paternità...
Sofia ha scritto questa cosa dopo averne parlato con un suo amico e mi
ha chiesto di aggiungere qualcosa di molto personale. Io sono padre e ho sempre
pensato quanto fosse assurdo che la gente parlasse unicamente di quanto sia
bello e meraviglioso essere genitori. Nessuno, invece, cita mai il terrore del
fatto che la tua vita - così come la conoscevi - finisce di botto per non
tornare mai più. Finisce il giorno in cui nasce il tuo primo figlio e non sai
ancora che qualcosa di meraviglioso sta per iniziare. Prima che arrivi tanta
meraviglia, però, ci sono tante, tantissime paure e - soprattutto -
l'allontanamento che vivi dalla persona che ami...